Perché alcune spezie sono piccanti
È risaputo che le spezie fanno bene al nostro organismo, sono ricche di vitamine, minerali e antiossidanti.
Qualche spezia ha però una caratteristica che per molti rappresenta il motivo per il quale viene utilizzata, mentre per altri è motivo di rifiuto e inutilizzo: stiamo parlando della “piccantezza”.
Prima di iniziare a parlare del perché e del per come percepiamo questo sapore, doppiamo fare una piccola precisazione.
I “gusti” sono 5: il salato, il dolce, l’amaro, l’aspro (o acido) e l’umami; come si può vedere il piccante non rientra tra questi cinque e quindi non possiamo definirlo un gusto.
Quando mangiamo un peperoncino, e già dopo il primo morso sperimentiamo la tipica sensazione di “bruciore” in bocca, dobbiamo ricercare la causa in determinati composti presenti nel peperoncino, e in tutti gli altri cibi piccanti, che attivano determinati neuroni sensoriali chiamarti nocicettori polimodali.
Questi recettori, presenti in tutto il nostro corpo, sono gli stessi responsabili della sensazione di bruciore che percepiamo dopo il contatto con un qualcosa di molto caldo: è proprio per questa “condivisione” degli stessi recettori che percepiamo la nostra bocca andare in fiamme dopo aver consumato un cibo piccante.
Quando questi recettori sensibili al calore vengono attivati, il nostro cervello si attiva rispondendo con la classica reazione di risposta alle minacce, il “combatti o scappa”, poiché pensa di essere entrato in contatto con una fonte pericolosa di calore: il cuore accelera il suo battito e iniziamo a sudare.
Le molecole responsabile della sensazione di piccantezza sono principalmente due: le alchilamidi e gli isotiocianati.
Ogni alimento e/o spezia conferirà al suo consumatore una sensazione differente a seconda del composto in esso presente: nel peperoncino e nel pepe troviamo la capsaicina e la piperina, le quali sono costituite dalle molecole pesanti e grandi di alchilamide; in salse e spezie come il wasabi e la mostarda troviamo invece gli isotiocianati.
Le prime molecole, essendo pesanti e grandi, tendono a rimanere all’interno della bocca senza fuoriuscirne, a differenza degli isotiocianati che essendo piccoli e leggeri risultano essere molecole molto volatili che raggiungono facilmente le nostre narici procurandoci la ben nota sensazione di bruciore al naso.
Queste differenze in “piccantezza” sono valutabili quantitativamente con la scala Scoville, la quale misura di quante volte deve essere diluito il contenuto di capsaicina di una determinata salsa/spezia/alimento prima che il calore non venga percepito dall’uomo. I due peperoncini più piccanti al mondo, il Carolina Reaper e lo Scorpion Butch hanno rispettivamente un valore sulla scala Scoville di 1 milione/2 milioni. Al contrario, il classico peperone dolce ha punteggio pari a zero e il tabasco circa 1500 punti.
La storia del consumo del cibo piccante da parte dell’uomo parte ancor prima della nascita di Cristo: spezie come la mostarda sono state ritrovate in resti risalenti a più di 20'000 anni fa, ma ancora non è chiaro se esse venissero utilizzate come medicinale, come decorazione o come alimento vero e proprio. Il motivo per il quale si pensa che l’uomo abbia iniziato non è ancora ben chiaro.
Gli studiosi, partendo dall’evidenza che la maggior parte delle spezie conosciute si è sviluppata (ed è stata maggiormente coltivata) nei paesi con climi molto caldi, hanno ipotizzato che esse venivano inizialmente utilizzate per eliminare i batteri che contaminavano i cibi, i quali sono più diffusi nei paesi con climi caldi.
Ma al giorno d’oggi le tecnologie alimentari che ci permettono di conservare in modo ottimo i cibi e le misure igieniche che vengono quotidianamente adottate, rendono l’uso delle spezie a fini conservativi ormai superato.
Gli individui che amano consumare cibo piccante affermano che è quasi una “ricerca dell’adrenalina” che li spinge a consumare sempre più spesso cibi sempre più piccanti: l’immediata sensazione poco piacevole di bruciore si tramuta velocemente in eccitazione.
Esistono addirittura degli studi sulle persone che amano mangiare cibi molto piccanti: chi adora consumare questi cibi è allo stesso modo più propenso a divertirsi con attività cariche di adrenalina come il gioco d’azzardo, gli sport violenti e chi ne ha più ne metta!
Ahimè, a chi piace il gusto piccante, ma proprio non sopporta la prima sensazione di bruciore che questi cibi ci fanno provare, non potrà mai aumentare la propria soglia di tolleranza secondo diversi studi: al massimo si impara a resistere un po’ di più al dolore, ma coloro che consumano cibi moooolto piccanti non considerano il bruciore meno doloroso rispetto agli altri, ma semplicemente imparano a resistere e provano piacere nel sperimentare queste fastidiose (e dolorose!) sensazioni.
Riccardo Alfieri